Il Libano si infiamma. Le proteste durano ormai da sei giorni e non sembrano arrestarsi. Migliaia di persone sono scese in strada per chiedere le dimissioni del governo guidato da Saad Hariri e la cessazione delle politiche di austerità da lui annunciate. Le proteste hanno creato problemi alla viabilità, compreso l’accesso alla capitale, e restano chiuse banche, scuole e varie attività commerciali.

A scatenare la protesta, l’introduzione di una nuova tassa per le telefonate fatte con WhatsApp e Facebook Messenger. «Il Libano – spiegano a CELIM – è un Paese che sconta profonde divisioni di carattere religioso. I partiti sono confessionali: sciiti, sunniti, cristiani. Questa protesta però ha unito la popolazione. In piazza sono scesi tutte le componenti della società, anche famiglie con bambini. Purtroppo non sono mancati violenti scontri con le forze dell’ordine».

La paura della povertà

Negli ultimi anni, le divisioni di carattere religioso sono state tenute insieme dal collante economico. Recentemente però il tenore di vita si è abbassato notevolmente. Nel 2011 i libanesi al di sotto della soglia di povertà erano poco più del 6%, ora sono sopra il 39%. Nel 2007, la disoccupazione si attestava al 9,2%, oggi è al 25%. I libanesi quindi temono un impoverimento generale e ciò li preoccupa. Preoccupazione che diventa rabbia di fronte alla corruzione dilagante e all’arricchimento della classe dirigente. Ha fatto scandalo il regalo di 16 milioni di euro fatto dal premier alla sua amante, una modella sudafricana. Anche se questo è solo la punta dell’iceberg.

Oltre ai servizi telefonici, le persone chiedono anche investimenti sulla scuola e servizi più efficienti per quanto riguarda l’elettricità e l’acqua. Inoltre il dito viene puntato anche sull’incapacità del governo nel gestire i numerosi incendi scoppiati nelle ultime settimane, nonostante importanti investimenti pubblici in elicotteri e Canadair.

«Hariri – continuano a CELIM – ha imposto ai suoi ministri un ultimatum di 72 ore per trovare una soluzione alla crisi economica del Paese senza imporre nuove tasse. Vedremo come evolverà la situazione. Speriamo in una soluzione pacifica che garantisca la convivenza delle diverse componenti della popolazione libanese».

Ritardi

In Libano, proprio in queste settimane, CELIM sta avviando un progetto, concentrato nel Distretto di Hasbaya, per lo sviluppo del settore oleario e la tutela del sistema ambientale locale. «Le manifestazioni – concludono – hanno bloccato un po’ tutto il Paese. Le attività di strade, porti e aeroporti sono rallentate se non si sono fermate. Le pratiche avviate presso l’amministrazione pubblica sono ferme. In questo contesto, la tabella di marcia del nostro progetto ha subito ritardi. Noi speriamo che la crisi si risolva presto e che CELIM, insieme al suo partner Caritas Libano, possano riprendere a lavorare. Anche il nostro progetto è un modo per aiutare la crescita del Paese e sostenere i contadini locali».