Si intitola «Wells of hopes» (Fonti di speranza) è il documentario prodotto da Aurora Vision con la regia di Lia Giovanazzi Beltrami. Il video racconta le attività della rete «Talitha Kum», un’iniziativa dell’Unione internazionale delle superiore generali delle congregazioni religiose femminili nel bacino del Mediterraneo, che mira a intensificare gli sforzi per prevenire il fenomeno della tratta. Un tema, quest’ultimo, che interessa anche CELIM, impegnato in Libano nella lotta contro lo sfruttamento delle donne, attraverso il sistema della kafala, nel lavoro domestico.

Un documentario toccante

«Talitha Kum» è nata nel 2009 e oggi è presente in 92 paesi, nei 5 continenti: 14 in Africa, 18 in Asia, 17 in America, 41 in Europa, 2 in Oceania. La rete mondiale della vita consacrata impegnata contro la tratta di persone. Un fenomeno complesso e multidimensionale, che ferisce decine di milioni di individui e l’intera società umana. « “Talitha Kum” – spiegano le responsabili – è un invito rivolto a tutti ad alzarsi in piedi per contrastare con la nostra voce, le nostre azioni, le scelte quotidiane e le nostre vite tutto ciò che promuove e sostiene la tratta di persone, denunciando l’arroganza e la violenza del potere economico-finanziario quando agisce contro la dignità della persona».

«Il Bacino del Mediterraneo – spiega suor Gabriella Bottani, coordinatrice di Talitha Kum -, è un luogo di incontro tra le diverse culture e religioni. Siamo convinte che l’incontro tra le diversità e le relazioni di fiducia sono la base per seminare gesti concreti di speranza per tante donne, bambini e uomini trafficati e sfruttati in questa regione».

«Insieme vogliamo raggiungere i nostri fratelli e sorelle più vulnerabili – aggiunge suor Marie Claude Naddaf, coordinatrice di “Wells of Hope” – per iniziare con loro un percorso di libertà e riportare la vita dopo tanta sofferenza e umiliazione, alimentando la speranza in un mondo migliore».

La storia (vera) che viene narrata nel documentario, vede come protagonista un adolescente siriana, Shaima, rifugiata in Libano. Il lavoro che viene portato avanti è quello della sensibilizzazione e della prevenzione. Informare e creare dinamiche di protezione, per le persone che vivono all’interno dei luoghi di vulnerabilità come i campi profughi o le regioni rurali dove le bambine, i bambini o le donne vengono reclutate. Si possono creare dei progetti e delle attività che portino a una maggiore tutela di queste persone.

La regista, Lia Beltrami racconta delle difficoltà incontrate durante le riprese. «Realizzare “Wells of Hope” non è stato facile – racconta – per via del contesto geopolitico, la presenza di conflitti, la diversità di religioni e culture. […] La delicatezza del tema della tratta ha precluso moltissime riprese e quindi abbiamo scelto la linea simbolica, dove la potenza delle immagini e la musica emozionano lo spettatore».

CELIM contro lo sfruttamento domestico

Anche CELIM è impegnato nella lotta contro la tratta in Libano ed Etiopia. Ogni anno arrivano nel Paese dei cedri migliaia di donne, più della metà sono etiopi. Lasciano la loro nazione in cerca di un futuro migliore. Una vlta arrivate a Beirut le speranze vengono però disattese. Diventano infatti prigioniere e schiave del datore del lavoro che, attraverso il sistema della kafala, garantisce la legalità della loro permanenza di fronte allo Stato. I loro documenti vengono sequestrati, spesso sono vittime di abusi e violenze, in molti casi non vengono retribuite e sono obbligate al lavoro forzato, senza alcun diritto. Alcune di loro riescono a fuggire e trovano rifugio in centri di accoglienza per donne lavoratrici migranti.

In questo contesto, CELIM lavora su due piani. In Libano contribuisce al potenziamento dei servizi di accoglienza, protezione e rimpatrio dei tre shelter di Olive, Pine e Laksetha; al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie del centro di detenzione per migranti di Adlieh; all’assistenza psicologica, medica e legale per aiutare l’elaborazione del trauma vissuto dalle migranti e favorirne il rimpatrio. Allo stesso tempo è impegnata in Etiopia, Paese di partenza della maggior parte delle donne. Qui lavora al potenziamento delle capacità di accoglienza e reinserimento economico-sociale di due shelter a favore delle donne migranti rimpatriate; all’avviamento di un servizio di supporto e ricollocamento lavorativo e sociale per le donne rimpatriate e le loro famiglie; al rafforzamento del dialogo e dell’attività di sensibilizzazione sulla protezione dei migranti rivolto a istituzioni, comunità di origine e datori di lavoro in Libano.

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