Api e fichi d’India per aiutare le donne masai in Kenya. È questa una delle attività di «Coltivare il futuro – Filiere agricole ecosostenibili in Kenya», progetto partito a novembre nella contea di Laikipia nel Nord del Kenya e che vede protagonista CELIM a fianco di Ipsia.

«L’obiettivo del progetto – spiega Gabriele Covi, di CELIM – è dare vita a una serie di iniziative volte a rafforzare le conoscenze tecnico-agricole dei contadini e sviluppare una serie di attività (turismo, trasformazione di prodotti agricoli, ecc.) che aumentano le capacità di resilienza delle comunità locali».

Tra queste attività «collaterali», oltre al potenziamento del settore turistico, ci sono anche lo sviluppo di due filiere agroalimentari per anni trascurate o considerate marginali: l’apicoltura e lo sfruttamento del fico d’India. «Negli ultimi anni – continua Covi -, complice il cambiamento climatico, il fico d’India ha conquistato sempre spazi un tempo dedicati alle colture tradizionali. Ciò ha destato grande preoccupazione negli agricoltori locali perché questa specie infestante limita sia la coltivazione sia l’allevamento».

L’idea è quindi quella di sfruttare le caratteristiche di questa pianta, comune anche in Italia e in tutto il bacino del Mediterraneo, per creare una filiera che offra entrate aggiuntive alle comunità masai. «Il fico d’India – spiega Covi – è una specie piena di qualità e di risorse. Intanto, se ben gestito e limitato, può creare grandi barriere che proteggono il bestiame domestico dagli animali selvatici. Per contenerne la diffusione è necessario però eliminare il più possibile la germinazione. Così abbiamo pensato di raccogliere le foglie grasse e i semi, che ne favoriscono la proliferazione, e di utilizzarle per la produzione di biogas, un gas naturale che può servire alle popolazioni locali per cucinare».

Il progetto poi prevede la creazione di una filiera che faccia perno sul frutto del fico d’India. «Il frutto può essere utilizzato in più modi – sottolinea Covi -: si possono ricavare marmellate, succhi di frutta, vino, olio sia per cucina sia per cosmetica. Prodotti che possono essere venduti sul mercato locale o attraverso le strutture turistiche che creeremo in loco».

Uguale discorso può essere fatto con l’apicoltura. «Le api – osserva Covi – sono una grande risorsa-. Con un investimento minimo e una manutenzione ridotta, possono produrre un buon reddito attraverso miele, pappa reale, propoli e cera (utile base per i prodotti cosmetici. Anche le api possono poi rivelarsi un ottimo alleato degli allevatori. Se si mettono le arnie sul confine dei pascoli, i piccoli insetti impediscono l’arrivo di animali selvatici».

Il progetto ha una grande valenza sociale perché coinvolge soprattutto le donne. «L’80% dei beneficiari è di sesso femminile – conclude -. Nelle comunità masai, gli uomini seguono gli animali e per settimane, se non mesi, stanno lontano da casa. Sono le donne che si curano del sostentamento e della nutrizione dei figli. Aiutarle a creare occasioni di autosostentamento significa dare una mano alla famiglia e all’intero villaggio».

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