L’odio nello sport? Un nemico da combattere, soprattutto sul web. Un impegno che CELIM si è assunto partecipando al progetto «Odiare non è uno sport». E proprio contro il fenomeno dell’hate speech si è scagliata Fiona May, atleta azzurra campionessa olimpica e mondiale, in un’intervista rilasciata ieri al quotidiano La Stampa.

«L’assenza del pubblico negli stadi dà l’illusione che il razzismo nello sport sia scomparso – ha detto l’atleta di origini britanniche e naturalizzata italiana -. È, appunto, un’illusione. Si è semplicemente spostato, sui social network per esempio: in questi mesi ho letto cose terribili. Credo sia necessario intervenire con il pugno duro».

Secondo Fiona May è necessario adottare misure severe come una sorta di Daspo sui social. «Ormai i social sono come droghe e alcune persone si disperano se restano per poche ore senza Facebook, Twitter o Instagram, figurarsi per mesi – ha sottolineato -. Ma è una misura che non si può rimandare. Lo stesso vale per combattere il bullismo da tastiera».

Proprio in questo contesto si è inserito il progetto «Odiare non è uno sport» che in questi anni ha lavorato nelle scuole per combattere l’hate speech on line. Sono stati messi in campo percorsi che hanno guidato i ragazzi a prendere coscienza dei disvalori veicolati attraverso i social network e sui siti.

Disvalori che purtroppo stanno mettendo radici anche nello sport. Ancora Fiona May: «Servono punizioni esemplari da parte dei giudici sportivi. La scusa di non aver sentito i “buu” allo stadio non è più tollerabile: le federazioni devono usare il pugno di ferro. Da noi c’è ancora molto lavoro da fare. Qualcuno nega addirittura che il problema esista: il razzismo c’è e va sradicato, a partire dalla società. Credo che moltissime persone siano stufe di molte frasi o atteggiamenti intollerabili».

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