Per loro la strada è la casa, la mamma e il papà. Un rifugio che però non è un rifugio. È piuttosto un territorio selvaggio dove vive la legge del più forte. Dove la violenza, la sopraffazione e le privazioni sono pane quotidiano. Ad aiutare i ragazzi e le ragazze di strada sono in pochi. Su di loro grava un forte stigma sociale. Da una ventina d’anni in Zambia è nato, per iniziativa di Koinonia, una comunità di famiglie fondata dal missionario comboniano, Renato Kizito Sesana, il Centro Mthunzi e la comunità Londjedzani. Sono due realtà che accolgono i ragazzi e le ragazze dalla strada e cercano di dare loro un futuro. Da quest’anno, al loro fianco si è schierato anche CELIM con un progetto di sostegno alle loro attività.

«In vent’anni di attività – spiega Giacomo D’Amelio, di Amani, l’Ong partner che gestisce i centri ed è partner di CELIM -, abbiamo ospitato complessivamente 500 ragazzi e ragazze tra i 6 e i 18 anni. Vivono in strada, sono malnutriti, vestiti di stracci, spesso dipendenti da sostanze che li stordiscono e fanno dimenticare loro fatica e fame (colla, kerosene, marijuana, ecc.)».

I loro genitori sono morti oppure li hanno abbandonati. I loro parenti non si curano di loro. Così trovano nella strada un’alternativa. Vivono di furti, spaccio, piccoli espedienti, elemosina. Non vanno a scuola. Secondo il National Child Policy, in Zambia vivono tra i 13 e i 14.000 ragazzi (85%) e ragazze (15%) di strada.

«Noi li accogliamo – continua D’Amelio -. Diamo loro da mangiare. Li reinseriamo a scuola. Li seguiamo nei loro studi. Facciamo fare loro attività alternative (musica, sport, arte, attività agricole, ecc.). Gli street children sono seguiti e aiutati con un’attenzione particolare e continua: hanno in loro un tesoro che va scoperto ogni giorno e valorizzato».

Negli anni, è nata anche una collaborazione sempre più stretta con CELIM, insieme al quale, Mthunzi ha lanciato quest’anno un progetto articolato. Un progetto che è anzitutto un sostegno al centro. «La nostra Ong – spiega Lara Viganò, coordinatrice dei progetti in Africa per CELIM – ha messo a disposizione del centro tutta la sua esperienza decennale nella capacity building, offrendo le proprie competenze nel fund raising, nell’amministrazione, nella gestione del centro».

CELIM però non si è fermato qui. «Il progetto che abbiamo elaborato insieme al centro – osserva Lara – intende proteggere i diritti dei ragazzi vulnerabili e che hanno commesso reati offrendo un’educazione di qualità e attività ricreative, ma guarda anche agli educatori e agli insegnanti. A loro sono rivolti corsi professionali che li aiutano a lavorare con i bambini e le bambine di strada e con i ragazzi del riformatorio». I corsi sono soprattutto sugli aspetti psicologici sia per supportare i ragazzi sia per supportare le famiglie nel processo di riaccettazione e reintegro. «L’obiettivo finale – conclude Lara – è il reinserimento dei ragazzi e delle ragazze nelle famiglie e nelle comunità sconfiggendo la diffidenza sociale che li circonda».

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