Il primo amore non si scorda mai. Così è capitato a Mariangela Tarasco. Il servizio civile a CELIM in Zambia è stato un primo passo nel mondo della cooperazione allo sviluppo. Poi, dopo esperienze diverse nel settore privato e in quello delle organizzazioni non governative, è tornata a CELIM. Dallo scorso autunno è la nuova rappresentante Paese a Lusaka. Con lei facciamo il punto dell’impegno della nostra Ong in Zambia.
Nei giorni scorsi si è chiuso il progetto «La secondo occasione. Reintegro degli ex detenuti». Quale bilancio si può di questo intervento?
Il bilancio è positivo. È stato un progetto molto importante perché in Zambia poche Ong si occupano del mondo carcerario e, soprattutto, perché il concetto di riabilitazione e reinserimento nella società non è ancora ampiamente diffuso. CELIM, sotto la spinta di Gianclaudio Bizzotto che mi preceduto come rappresentante Paese, ha svolto un importante ruolo culturale smontando l’immagine del carcerato come «rifiuto della società» per costruire un percorso che permettesse ai detenuti di diventare invece una «risorsa per la società». C’è stato un impegno forte nell’abbattere lo stigma sociale che circonda il mondo dei penitenziari. La nostra organizzazione ha avuto un ruolo concreto promuovendo la formazione professionale dei detenuti che stavano scontando la pena e accompagnandoli, una volta usciti di carcere, in modo tale che potessero costruirsi un’attività che permettesse loro di mantenersi e quindi non cadere nuovamente nella rete criminale.
Da alcuni mesi ha poi preso il via il progetto «Street Children» che si ricollega idealmente al progetto per i detenuti…
Il focus non è più sui carcerati, ma sui minori vulnerabili e, tra essi, quelli che vivono la difficile esperienza del riformatorio. Anche in questo caso, si lavora al recupero di questi ragazzi, aiutandoli a riallacciare un rapporto con le loro famiglie di appartenenza. Ma, soprattutto, sottraendoli alla strada dove spesso si rifugiano e dove sono esposti della microcriminalità e dell’uso di stupefacenti. Attraverso il gioco, lo studio, il lavoro si vuole restituire loro quella dimensione di ragazzi che sembrano aver smarrito e, con essa, una crescita equilibrata e sana.
A Mongu invece è ancora attivo il progetto «Agricoltura a basso impatto», di che cosa si tratta?
È un progetto che intende promuovere l’agricoltura sostenibile. Da un lato, offrendo agli agricoltori fonti di reddito alternative e alimenti che arricchiscano la loro dieta (orticoltura, essiccazione frutta e verdura, coltivazione della moringa). Dall’altro salvaguardando l’ambiente. Lottiamo, per esempio, contro la deforestazione promuovendo la realizzazione, con gli scarti, di bricchetti vegetali (utili per accendere il fuoco) che permettono di evitare la produzione e la vendita di carbone e di legna. Questo permette di salvaguardare il patrimonio forestale e, con esso, il delicato equilibrio naturale di vaste aree dello Zambia.
Dal 1° febbraio partirà poi un nuovo progetto. Di che cosa si tratta?
Si chiama «Edu-Care» e si propone di tutelare i minori con disabilità in Zambia. Anche in questo caso, oltre al lavoro sul campo per eliminare le barriere architettoniche, saremo impegnati ad abbattere lo stigma sociale che circonda la disabilità. Lavoreremo insieme agli insegnanti per formarli all’inclusione. Saremo impegnati con i ragazzi per aiutarli a crescere attraverso la scuola e a trovare opportunità lavorative per trovare una propria dimensione nella società. Mi piace ricordare che questo progetto vede la collaborazione di tre Ong italiane: a fianco di CELIM ci saranno l’Associazione Papa Giovanni XXIII e Africa Chiama.