Il Kenya è il quinto produttore di caffè in Africa. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del caffè, nel 2020 il Paese ha prodotto 775.000 sacchi da 60 kg e ha esportato circa il 95% del suo caffè sui mercati internazionali (Stati Uniti e Germania in testa). Ciò significa che solo il 5% della produzione viene consumato a livello nazionale. E mentre il consumo di tè rimane alto in Kenya, il numero di persone che bevono caffè è ancora basso e, entro la fine del 2022, non supererà i 43.000 sacchi da 60 kg.

Nei primi mesi del 2023, proprio in Kenya, prenderà il via “Caffè corretto”, un progetto finanziato dall’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e portato avanti da CELIM e IPSIA e Caritas Nairobi che ha come obiettivo il miglioramento dell’efficienza, della sostenibilità e della qualità della produzione di caffè, introducendo buone pratiche di governance, riducendo l’impatto ambientale delle cooperative di trasformazione e potenziando le capacità delle stesse di sfruttare le opportunità offerte dal mercato locale.

Tra gli obiettivi c’è anche il sostegno alle cooperative affinché sfruttino al meglio le opportunità offerte dal mercato locale, creando nuovi prodotti derivanti dallo scarto organico della lavorazione a umido (biscotti e farina di cascara), migliorando le competenze di giovani e donne nella selezione e trasformazione del caffè, avviando piccole torrefazioni locali a livello di cooperative e creando brand di caffè locale.

“La problematica prioritaria riguarda la limitata valorizzazione del caffè keniano nel mercato locale. Circa il 90% della produzione è destinata all’estero regolato da una serie di agenti di mercato e brokers che in loco si arricchiscono grazie alle elevate commissioni che percepiscono – spiega Davide Bonetti di CELIM Kenya -. Poiché non esiste la possibilità per le cooperative di vendere sul mercato internazionale il caffè verde ed eludere, in questo modo, il sistema attuale, l’unico modo per incrementare le entrate delle stesse è attraverso la promozione del consumo di caffè in loco, che ha visto una crescita significativa ma resta al di sotto delle proprie potenzialità”.

Le cause sono riconducibili alla scarsa conoscenza del prodotto da parte dei potenziali consumatori, che ritengono spesso il caffè un prodotto esclusivamente coloniale destinato all’esportazione e alle scarse competenze e attrezzature per la torrefazione locale a livello di cooperative. Il progetto incentiverà il consumo locale, creando nuovi prodotti derivanti dallo scarto organico della lavorazione a umido (biscotti e farina di cascara), formando donne e giovani nella selezione e trasformazione del caffè e avviando piccole torrefazioni locali di caffè da parte delle cooperative stesse”.

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