La Turchia ospita la più grande popolazione di rifugiati del mondo: ormai si è arrivati alla soglia dei quattro milioni. Secondo le statistiche dell’Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati), la maggior parte (3,6 milioni) sono siriani in fuga dalla guerra civile iniziata nel 2011. Ad essi si aggiungono 170mila afgani, 142mila iracheni, 39mila iraniani e 5.700 somali. Ankara sta iniziando ad affrontare numerosi problemi nella gestione di questa massa imponente di persone.

Intrappolati

All’inizio della guerra civile nel 2011, i primi siriani ad arrivare si sono sentiti a casa in Turchia, un Paese conservatore e prevalentemente musulmano che storicamente ha ospitato profughi da tutto il mondo compresi gli ebrei in fuga dall’Inquisizione spagnola. Con il passare degli anni però le cose sono cambiate. Se gruppi di migranti sono riusciti a trovare una sistemazione in Nord America e in Europa, oggi Stati Uniti, Australia e gran parte dell’Europa stanno bloccando gli arrivi. Così la Turchia è diventata una bolla nella quale i rifugiati sono intrappolati e crescono le tensioni con la popolazione locale.

La maggior parte dei rifugiati siriani è povera e disposta a lavorare per meno della gente del posto, alimentando la rabbia per la concorrenza a basso costo. E i turchi sono già scontenti di una valuta in ribasso e l’inflazione vicino a un massimo da 15 anni. Anche i prezzi di affitto sono aumentati a causa della domanda da parte dei siriani.

Sotto la pressione europea, la Turchia ha iniziato a concedere permessi di lavoro ai rifugiati siriani e iracheni nel gennaio 2016, una mossa acclamata dal Fondo Monetario Internazionale come un importante passo verso l’integrazione. Ma molti datori di lavoro turchi evitano di versare contributi di sicurezza sociale e i rifugiati esitano a chiederli per paura di perdere la possibilità di un lavoro

Le tensioni tra lavoratori turchi e siriani minacciano di venire al pettine nei prossimi mesi quando il previsto rallentamento dell’economia costringerà i datori di lavoro a licenziare i locali con costi più elevati.

Aiuto a turchi e rifugiati

In questo contesto, nel 2017, CELIM ha lanciato un progetto in collaborazione con il Vicariato apostolico dell’Anatolia orientale, per sostenere la Caritas locale nell’azione di aiuto ai più poveri, senza distinzione di credo o etnia (mensa, assistenza sanitaria, facilitazione per i bambini per la frequentazione delle scuole elementari pubbliche, formazione a favore di donne rimaste sole o che vivono in casi di estrema povertà. E, dall’altro, sostenere la costruzione e la gestione di una nuova struttura scolastica a Iskenderun, con insegnamento dalle elementari alle superiori.

«Sanità, alimentazione, educazione e formazione – spiegano i responsabili CELIM -: sono questi i punti cardine su cui puntiamo per ridare dignità alle famiglie meno abbienti e ai rifugiati. Senza distinzioni di sorta».

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