Il progetto sulle prigioni in Zambia sta avanzando. Venerdì e sabato si è tenuta una sessione di formazione alla quale hanno partecipato cinque membri del technical staff. Il loro sarà un compito particolarmente delicato. Ognuno sarà responsabile di un distretto e seguirà l’evoluzione delle attività nel penitenziario della regione. Saranno loro a verificare i progressi e gli eventuali problemi.

Secondo una classifica pubblicata dalla rivista statunitense «Forbes», il sistema carcerario dello Zambia è il peggiore dell’Africa. I detenuti sono costretti a vivere stipati in celle di piccolissime dimensioni. Nello spazio nel quale dovrebbero vivere ottomila detenuti ne sono ammassati 25mila.

Situazione tragica

«Nella carceri zambiane – spiega Lara Viganò di CELIM – i detenuti muoiono per mancanza di acqua, cibo e cure: mancano i servizi medici di base, le infrastrutture sono insufficienti o decadenti e le medicine scarseggiano. In particolare, i bisogni delle donne e dei bambini non vengono adeguatamente affrontati. Le donne incinte non ricevono trattamenti né nutrienti adeguati alla loro condizione e i figli delle detenute sono costretti a condividere il pasto con le madri. Il sistema penitenziario dello Zambia sta cercando di trasformarsi puntando sulla riabilitazione più che sulla punizione anche perché il tasso di recidiva è alto (30%). Ma i mezzi sono scarsi».

Il progetto si concentra anzitutto sulla formazione. Nelle prigioni vengono organizzati corsi professionali per i detenuti (elettricista, falegnameria, meccanica ecc.). L’obiettivo è costruire, insieme a loro, capacità che possano spendere una volta usciti di prigione.

Priorità salute

«L’attenzione alla salute – osserva Lara Viganò – è un altro dei punti qualificanti del progetto. Negli anni abbiamo cercato di prestare attenzione alla condizioni igienico sanitarie dei detenuti e, in particolare, delle detenute e dei loro bambini. Nella prigione di Mazabuka, un penitenziario in pessime condizioni, abbiamo realizzato una clinica e organizzando corsi di formazione sanitaria. L’obiettivo è garantire la presenza costante di una persona preparata a intervenire in casi di emergenza ma anche di più semplici malanni».

Il progetto, iniziato nel 2016, prosegue nel 2019 con due obiettivi ambiziosi. Nel nuovo modulo si lavorerà al reinserimento economico-sociale. Saranno creati centri nei quali, una volta riguadagnata la libertà, gruppi di ex detenuti potranno lavorare insieme e offrire ai concittadini i loro servizi come piccoli artigiani. In secondo luogo, si lavorerà per la riconciliazione favorendo l’incontro dei detenuti con i famigliari, con le vittime e offrendo servizi di counseling. I cinque tecnici lavoreranno in questo contesto.

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