Il razzismo non ha frontiere. E, soprattutto, non risparmia niente e nessuno. Nel fine settimana, durante la partita della serie A spagnola, Espanyol-Athletic Bilbao, hanno fatto scalpore gli insulti razzisti di cui è stato fatto oggetto il calciatore Inaki Williams. Mentre Williams lasciava il campo alcuni tifosi razzisti dell’Espanyol hanno fatto più volte il verso della scimmia al calciatore del Bilbao, che avvicinandosi a quei tifosi li ha guardati in faccia e urlando con tutta la sua forza ha detto: «Hihos de p…» e cioè «Figli di pu…».

Dopo la partita Inaki Williams è stato intervistato dalla televisione spagnola e furente ha detto: «Sono triste perché ho subito insulti razzisti. Si tratta di un qualcosa che nessuno vorrebbe sentire. La gente dovrebbe venire allo stadio per divertirsi e aiutare la propria squadra. Non dovrebbero accadere episodi di questo tipo». La reazione della Liga, la massima serie spagnola di calcio, è stata dura. I responsabili hanno annunciato severe misure per evitare il ripetersi di questi episodi.

Questo caso è solo l’ultimo e più eclatante di diverse manifestazioni di razzismo in Europa. Un fenomeno che coinvolge anche lo sport, che dovrebbe essere un luogo di condivisione e rispetto. Nuovi regolamenti e sanzioni più severe sono necessari, ma non si può lottare contro questo fenomeno se non si va alla radice di esso e non si cambia la subcultura che c’è alla base.

Ed è in questo ambito che lavora CELIM. Attraverso «Odiare non è uno sport», sono stati attivati percorsi educativi per prevenire e contrastare l’hate speech. Come partner del progetto, CELIM è impegnatoin cinque scuole milanesi in percorsi formativi ad hoc che faranno riflettere i ragazzi sul fenomeno dell’odio in campo sportivo e li aiuteranno a difendersi. Un impegno che coinvolge anche le società sportive, dove si terranno sessioni educative per prevenire l’hate speech  e le sue conseguenze.

Progetti correlati