Il bullismo corre sulla rete. E non solo. A parlarne sono gli stessi ragazzi interpellati nell’ambito delle attività di «Odiare non è uno sport», progetto che, attraverso percorsi educativi, si propone di prevenire e contrastare l’hate speech.

«L’epidemia di coronavirus – spiega Sara Donzelli di CELIM – non ha fermato le nostre attività. Grazie all’informatica possiamo continuare a portare avanti il nostro lavoro con i ragazzi. È da qui che è partito una nostra indagine sul cyberbullismo in due classi dell’Istituto comprensivo Tolstoj di Milano. I risultati confermano che il fenomeno esiste ed è diffuso».

Il bullismo c’è

I responsabili di CELIM hanno fatto vedere ai ragazzi un video con la ricostruzione di un atto di bullismo e hanno chiesto le loro reazioni su di esso. Dalle risposte viene fuori un senso di normalità: «Quello mostrato nel video accade in continuazione, anche scherzi più “pesanti”», «Era una storia normale poteva succedere a chiunque», «I ragazzi non si rendono conto di quanto stanno facendo, è difficile rendersi conto delle conseguenze». O, ancora, un senso di impotenza: «A volte mi lascio trascinare dal gruppo» e «Dovrei essere capace di difendere i più fragili». Però si registra anche una generale condanna. «Prima di fare qualcosa – ha scritto un ragazzo – bisognerebbe pensare: “Ma se lo facessero a noi, come reagiremmo?”». Un altro ha aggiunto: «Mi ha colpito la poca empatia tra le persone». E, ancora: «I sentimenti che ho provato sono tristezza e rabbia».

Ma chi sono le vittime? I ragazzi più colpiti dal bullismo sono quelli che, in qualche modo, non corrispondono a canoni di «normalità». Oggetti di violenza e di discriminazione sono, secondo quanto dicono i ragazzi, i «più fragili/deboli» (quasi il 30% delle risposte), ma anche chi «non segue la massa» e chi ha «difetti fisici» chi è straniero od omosessuale. Categorie che sono costrette a subire vessazioni continue. Tendenza confermata anche dal tipo di insulti che vengono veicolati attraverso i social network. I più frequenti sono gli insulti verso l’aspetto fisico, ai quali seguono le parolacce e, addirittura, le minacce di morte.

In rete, ma anche fuori

Che il bullismo e il cyberbullismo siano pratica comune è confermato anche dai racconti dei ragazzi. «Spesso – spiega una studentessa – mi capita di vedere sui social ragazze prese in giro per il loro aspetto fisico o semplicemente criticate per il fatto che magari non avessero dei bei vestiti o che abbiano utilizzato photoshop. Se fossi stata vittima di queste critiche o di bullismo proverei a parlarne con qualcuno di cui mi fido e che mi possa aiutare a superare questa situazione difficile. Se invece appunto fossi stata un’amica della vittima piuttosto che non dire niente andrei da lei a parlare, perché appunto ogni minima parola può rendere triste una persona». E ancora: «Ho notato utenti che si scagliavano, sotto i commenti di un post, verso un povero ragazzo perché aveva affermato che a lui piaceva più un videogioco che un altro. Le persone si sono subito scagliate rispondendogli in modo aggressivo, insultandolo. Io e un altro ragazzo l’abbiamo difeso dicendo che ognuno è libero di pensare come vuole».

Azioni che diventano anche violente: «Mi hanno dato della m***a di cane e della balena, hanno creato due gruppi in cui c’era anche il fratello di una ragazza che mi attaccava inutilmente».

«Di fronte a questi fenomeni – conclude Sara Donzelli -, bisogna reagire. Non si può assolutamente stare in silenzio. Noi consigliamo alle vittima di bullismo o cyberbullismo o a chi è testimone di atti o comportamenti scorretti di: parlarne con gli amici e di difendere la persona coinvolta. Ma anche di spiegare la situazione ad un adulto di cui ci si fide e di segnalare un contenuto irrispettoso o inadeguato alle autorità. Ogni ragazzo ha il diritto di vivere serenamente de questo diritto va fatto rispettare».