Gli operai sono al lavoro. All’Olive Shelter hanno molto da fare. L’esplosione che il 4 agosto ha scosso Beirut, facendo 200 vittime e ferendone 7.000, ha investito con la sua onda d’urto il centro di accoglienza delle donne etiopi e srilankesi.

«Lo shelter – spiega Antonio Buzzelli, di Celim Libano – non è lontano dal porto e lo spostamento d’aria ha colpito la struttura. I danni sono stati ingenti: vetri rotti, controsoffitti saltati, porte danneggiate. Il centro non ha mai chiuso, però ha sofferto per il colpo subito».

Le 60 donne ospitate sono rimaste nella struttura, adeguandosi agli spazi ridotti. «Gli uffici di CELIM – continua Antonio -, pur non essendo lontani dallo shelter sono stati risparmiati dall’esplosione perché essendo dietro una collina sono stati protetti dalla potenza dello spostamento d’aria. Così non è stato per il centro di accoglienza che si è trovato sulla traiettoria dell’onda d’urto».

Il centro Olive è un tassello fondamentale di «Donne in trappola – Garantire i diritti umani alle lavoratrici migranti», progetto che sostiene le donne vittime della kafala, un sistema di gestione dell’immigrazione che porta sfruttamento, violenze e maltrattamenti. «A Olive – conclude Antonio -, la Caritas Libano, che è nostra partner nel progetto, non ha solo spazi di accoglienza, ma ha il suo dipartimento per i migranti. Si tratta quindi di una sede importante. Gli operai sono ora al lavoro. Speriamo che, a breve, il centro possa tornare alla completa operatività».

 

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