Un anno che non si aspettava. Un anno a contatto di un mondo diversissimo da quello in cui vive. Un anno che il cui ricordo rimarrà per la vita intera. Sono questi i dodici mesi trascorsi da Erica in Zambia come servizio civile presso il Centro Mthunzi. Ci ha voluto raccontare la sua esperienza in un breve testo che pubblichiamo con piacere.

Ho svolto la mia esperienza di servizio civile di nove mesi nel Centro di Mthunzi, una struttura per ex ragazzi di strada a Lusaka West, in Zambia.

Non avrei mai pensato di vivere un’esperienza simile, considerato che, prima che la pandemia di Covid-19 cambiasse i nostri destini, ero destinata in Mozambico e avrei dovuto occuparmi di un progetto che poco aveva a che fare con i bambini.

Il problema dei minori di strada è evidente in Zambia, sopratutto nella capitale. Può capitarti di camminare per le strade della città e trovare un bambino o un gruppo di loro vestiti di stracci a chiederti dei soldi o qualcosa da mangiare.

Bambini che hanno come obiettivo quello di arrivare vivi a fine giornata, mangiando quello che trovano, drogandosi per dimenticare la fame e i problemi e cercando un angolo dove passare la notte.

Il Centro Mthunzi cerca di ridare un futuro a questi minori e ragazzi abbandonati dalle famiglie, scappati dalle violenze domestiche e dalla povertà. Il centro accoglie i beneficiari su loro richiesta e volontà, nessuno è obbligato a restare.

Alcuni di loro vengono intercettati dagli educatori direttamente in strada, altri indirizzati da alcune associazioni e altri ancora si presentano ai cancelli del Centro da soli.

La maggior parte del personale che lavora a Mthunzi sono ex ragazzi del centro, quindi entra facilmente in empatia con i ragazzi e i bambini. Mthunzi è una famiglia con tanti bambini dai cognomi diversi.

Durante la mia esperienza, ho lavorato nell’area di progettazione del Centro e ho avuto l’opportunità di gestire alcune attività educative per i ragazzi di Mthunzi.

Con un collega del servizio civile abbiamo avviato un’attività di agricoltura ecologia e permacultura per insegnare ai ragazzi un mestiere, contribuire al percorso di autosufficienza alimentare del Centro suggerendo la preparazione di nuove verdure alla mensa e insegnando l’importanza dell’agricoltura biologica che in Zambia viene collegata all’arretratezza del villaggio e quindi poco valorizzata.

Questa attività essendo all’aperto e all’interno della Comunità non rischia di essere interrotta a causa del Covid-19 e rappresenta una attività educativa autosufficiente dal mondo esterno.

Gli zambiani sono molto legati alle tradizioni e la loro cucina è molto semplice e povera di ingredienti, è difficile introdurre nuovi elementi e questo è un prezzo da pagare per la biodiversità delle coltivazioni e, in generale, per la dieta della gente comune.

Grazie alla partecipazione di alcuni colleghi zambiani abbiamo adottato tecniche di agricoltura tradizionali assieme a quelle dell’orto sinergico. L’esperienza è stata positiva e ha dato i suoi frutti, per valorizzare l’attività abbiamo anche organizzato merende a base di prodotti del nostro orto e non abbiamo mai fatto mancare musica africana durante le nostre attività, un elemento fondamentale per gli zambiani.

La cosa che più mi ha stupito in Zambia è che anche lì dove non c’è nulla ci sarà sempre musica; lì dove c’è un problema ci sarà sempre una soluzione, sempre.

Questo è l’insegnamento più importante che mi ha regalato lo Zambia.

 

 

 

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