Le mangrovie sono state per molto tempo un’ancora di salvezza per le comunità costiere di molti Paesi: le proteggono dalle piene improvvise e forniscono cibo e legna alle famiglie. Rappresentano un patrimonio anche per l’intero pianeta, perché assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera e la conservano per secoli nel terreno acquifero. Studi recenti hanno dimostrato che le mangrovie sono in grado di trattenere fino a 10 volte la quantità di anidride carbonica per ettaro rispetto alle foreste terrestri.

Ma la loro sopravvivenza è minacciata dalle attività di agricoltura, pesca e approvvigionamento di legname, che si sommano agli effetti dei mutamenti climatici.

Per questo motivo, CELIM, attraverso il progetto «Giovani resilienti» sta progettando un vasto piano di riforestazione delle fasce di mangrovie in Mozambico. La più grande area di mangrovie del Paese, con oltre il 50% di copertura, è concentrata intorno al delta dello Zambesi e intorno a Quelimane, con circa 200 km continui lungo la costa e fino a circa 50 km nell’entroterra. Dopo gli estuari dei fiumi Rufiji in Tanzania e Tana in Kenya, la foce del fiume Limpopo e il delta dello Zambesi in Mozambico, sono le regioni in cui si trovano gli alberi di mangrovie più alti dell’intero continente africano.

Questa preziosa fascia verde è però in pericolo. Ad oggi si stima che oltre il 60% della popolazione mozambicana viva nella zona costiera e sia fortemente dipendente dalle risorse e dagli ecosistemi costieri. «Di conseguenza – spiega Marco Andreoni di CELIM Mozambico -, la mangrovia è stata oggetto di sfruttamento a causa dell’alta pressione umana associata alla povertà e allo sviluppo delle aree costiere, che ha portato al suo degrado in alcuni luoghi. Il nostro obiettivo è quindi quello di preservare questo patrimonio».

L’azione di riforestazione procede parallelamente a pratiche agroforestali e ad attività di sensibilizzazione ambientale. «In questo modo – conclude Marco -, sarà possibile incidere non solo sulla preservazione dell’ambiente, ma anche sul miglioramento di quei territori degradati che, a oggi, diminuiscono la resilienza delle comunità locali e le mettono a forte rischio di fronte ai cambiamenti climatici».