Anche in Kenya, CELIM scommette sull’apicoltura. Carenza di acqua, terra difficile da coltivare, mancato sviluppo di attività alternative, cambiamenti climatici non offrono prospettive sicure agli abitanti della contea di Laikipia. Ciò costringe la popolazione ad abbandonare le proprie terre per cercare fortuna nelle grandi città o all’estero.

Attraverso il progetto Coltivare il futuro, CELIM, sta lavorando per offrire attività che possano affiancarsi alle colture tradizionali e aiutare le popolazioni locali. Oltre allo sviluppo del comparto turistico, secondo linee di sviluppo sostenibile, la nostra Ong sta cercando di diffondere le tecniche di coltivazione dell’aloe e del fico d’India e dell’apicoltura. Alle popolazioni locali viene insegnato a produrre miele, marmellate, essenze che garantiranno loro di ottenere un reddito aggiuntivo.

Proprio in questo contesto, nei giorni scorsi sono state distribuite 26 arnie e 22 kit di raccolta miele (secchi per filtraggio e raccolta e presse) al gruppo Chui Mama. “Si tratta di uno dei gruppi beneficiari del nostro progetto – osserva Davide Bonetti, rappresentante CELIM in Kenya -. Sono masai che vivono in una delle zone più aride della contea. Nei loro territori piove pochissimo e l’agricoltura stenta a produrre risultati. L’apicoltura può offrire loro un’alternativa redditizia”.

In Africa, da anni, la produzione di miele sta seguendo un trend positivo. Secondo la Fao, agenzia  Onu per l’agricoltura e l’alimentazione, nel 1971 se ne ottenevano 78.873 tonnellate all’anno, nl 2020, se ne sono prodotte 150.911 tonnellate, con un tasso medio annuo di crescita dell’1,65%. La Tanzania, con 31.405 tonnellate, è il maggior produttore continentale. Il Kenya è il secondo, con 17.801 tonnellate annue.

“Le prospettive sono ottime – conclude Davide -. Negli anni si è formato un mercato locale del miele che sta crescendo progressivamente. Offrire ai contadini formazione e kit per l’apicoltura significa aiutarli a inserirsi in un comparto che può garantire loro buoni margini di entrata e quindi permettere loro di avere un futuro meno precario e, soprattutto, di poter continuare a vivere sulla loro terra”.

 

 

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