Il Libano riapre. Il lockdown imposto per contenere il coronavirus è stata allentato. Rimane solo il coprifuoco da mezzanotte alle 5 di mattina e la chiusura degli uffici della pubblica amministrazione. Se, da un lato, è quindi più facile muoversi, dall’altro, non è semplice portare avanti attività che richiedano la collaborazione delle autorità. Un contesto non ottimale nel quale, gli operatori di CELIM si stanno muovendo fra mille difficoltà per potere avanti i progetti nel Paese mediorientale.

«Di fatto – spiega Antonio Buzzelli, rappresentante CELIM in Libano -, la quarantena è terminata. Possiamo andare dove vogliamo e come vogliamo. Non ci sono più limitazioni. Questo è un dato positivo perché non siamo più costretti a vivere e a lavorare da casa. Detto questo, però, le difficoltà non sono terminate. Gli uffici pubblici sono chiusi. Ciò complica la nostra azione proprio nel momento in cui avremmo bisogno di rapportarci con i funzionari pubblici locali e nazionali per procedere con il nostro progetto a favore degli olivicoltori del Sud del Libano».

Difficoltà anche per il progetto per il riscatto delle donne vittime della kafala. «Le misure di contenimento del virus – osserva Buzzelli – hanno interessato anche gli shelter dove sono ospitate le donne fuggite dallo sfruttamento domestico. L’ingresso a questi centri è stato limitato e per noi è tuttora impossibile accedervi. Questo ha limitato la nostra azione, ma non ci siamo fermati».

Insieme a Caritas Libano, Caritas Etiopia e Consolato etiope è stato organizzato un volo per il rientro di una trentina di donne. «In passato – spiega -, le donne rientravano singolarmente su voli commerciali. Il 27 maggio, invece, abbiamo organizzato un unico volo per far rientrare le donne. Arrivate in Etiopia, sono state messe in quarantena. Una volta terminata la quarantena imposta dalle autorità di Addis Abeba, potranno essere ammesse ai programmi di reinserimento previsti dal progetto. Speriamo che a breve, in Etiopia e in Libano, le attività riprendano a pieno regime».